I Viri ProbatiI "Viri Probati" sono quei sacerdoti scelti e ordinati, alcuni secoli fa, nella Chiesa cattolica, fra uomini sposati provati nella fede e anziani, per guidare piccole comunità cristiane generalmente in zone disperse o poco accessibili. Oggi vi sono interventi o commenti sull'argomento che purtroppo identificano costoro con i "preti sposati " e con famiglia, mentre intendo in questa presentazione andare oltre i bisogni contingenti del momento; non prendo in considerazione tali persone, pur degne, ma quelle anziane sposate senza preoccupazioni familiari che sono poco compatibili con il Ministero di Presbitero. In questo sito, voglio proporre un modesto studio all'attenzione di coloro che si sentono qualificati a riflettere serenamente su questo argomento, che, da allora, non è stato più considerato nella vita della Chiesa perché, a mio avviso, diventerà importante, prima o poi, non solo per la scarsità delle vocazioni sacerdotali ma per la stessa rievangelizzazione stimolata dai nostri Vescovi. Ne parlo, inoltre, in prima persona, perché l’argomento da molti anni occupa la mia mente e non ho trovato alcuna risposta teologica e dottrinale negativa, né obiezioni significative di sacerdoti interpellati. Oggi non si trova nella Chiesa un reale consenso o critica qualificata se non un modesto, ma non motivato diniego, nell’ultimo Sinodo dei Vescovi, che propongo all’esame del lettore più avanti. Ritengo opportuno avvertire, per chi cerchi novità di rottura o critiche in libertà, che non si mette in discussione la tradizione cattolica e la dottrina sul celibato dei preti come si illustra nei capitoli successivi. Penso, invece, che la Chiesa finalmente consideri e rifletta su quanto è necessario che uomini già sposati divenuti anziani dopo "aver guidato bene la loro famiglia" come dice l’apostolo Paolo, possano accedere al Ministero di Presbiteri (chiamiamo così, per ora, i sacerdoti) non solo per il richiamo biblico della etimologia della parola greca (presbiteros) ma per un servizio più maturo nella Comunità cristiana di oggi come lo era in quella primitiva. Non si tratta quindi di trovare una soluzione estemporanea a causa della mancanza di vocazioni con un pragmatismo non gradito al Papa (vedi Sacramentum Caritatis) più avanti citato, ma un ripensamento teologico e culturale che riprenda le ragioni bibliche citate certo riferite ad un grado culturale di sufficiente livello che oggi possiamo ritrovare nelle Comunità cristiane fra uomini anziani pii e preparati. Sarebbe bene, inoltre e per tutti, capire a fondo perché la situazione delle vocazioni presbiterali-sacerdotali è, oggi, così drammatica; esaminare, con sano giudizio critico e dottrinale, alla luce delle Sacre Scritture se possiamo ripetere il modello di vita delle Comunità primitive come è altamente raccomandato nei documenti papali. Capire, anche, perché a quel tempo le Comunità cristiane erano guidate da anziani mentre ora, di fatto, solo i giovani possono diventare. . . "anziani" per guidare le nostre Chiese. E’ un paradosso anche se, a certe condizioni a nessuno ed a qualsiasi età è canonicamente esclusa la verifica di questa vocazione; ma di fatto nelle nostre Chiese non si sentono certo appelli verso gli anziani! Eppure che impedimento ci potrebbe essere per loro sia sposati o vedovi? Ma neppure per questi ultimi c’è una disponibilità effettiva a riguardo e non vi sono stimoli in tal senso; eppure Giovanni Paolo II nella "Familiaris Consortio" (27) ha parlato degli anziani come ispiratori di saggezza, della loro parte attiva e responsabile in famiglia e nella Comunità ecclesiale . Le Sacre Scritture poi fanno un continuo elogio degli anziani nei fatti descritti e nei libri Sapienziali e nei Salmi: "Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi, per annunziare quanto è retto il Signore ...". Gli anziani hanno, forse, niente da dire per escluderli dalla guida pastorale a loro certo confacente? Nell’Apocalisse i "Vegliardi" sono icone gloriose attorno al Trono di Dio ma non ai nostri altari! Ho voluto fare un breve percorso di ricerca della presenza degli anziani nelle Comunità primitive e nella storia della Chiesa delle origini per vedere come nel tempo si è proceduto abbandonando l'impostazione iniziale per arrivare alla attuale situazione di disagio e indifferenza vocazionale al sacerdozio presbiterale. Purtroppo, scrive il Papa in Sacramentum Caritatis, la scarsità di clero "non trova soluzioni in semplici accorgimenti pragmatici" e "non deve venir meno la fiducia che Cristo continua a suscitare uomini i quali abbandonata ogni altra occupazione si dedichino totalmente alla celebrazione dei sacri misteri, alla predicazione del Vangelo e al ministero pastorale. "; Nel documento sopracitato si parla di "uomini" in generale e di "occupazioni" da lasciare; la nostra preghiera e attenzione non sarà quindi, in futuro, nei nostri richiami comunitari, solo per le vocazioni giovanili dovremmo, invece, accorgerci, come scriveva il Card. Martini, che le vocazioni sono già in mezzo a noi se sappiamo riconoscerle; e come raccomanda il Papa in Sacramentum Caritatis (26) "... quella maggior fede e speranza nell’iniziativa divina che ci deve lasciar liberi di contemplare l’azione dello Spirito che fa nuove tutte le cose". Potrà sembrare improbabile o un controsenso, ma se nella Chiesa si cominciasse a considerare plausibile che un uomo maturi nella famiglia la sua vocazione al Ministero ordinato secondo caratteristiche bibliche e canonicamente definite, anche i giovani cresciuti con tali padri si sentirebbero stimolati da subito ad accogliere la voce del Signore (vedi Eli e Samuele) per un ministero di stato superiore nel celibato magari in ordine all'Annuncio e in ausilio episcopale come vedremo in seguito. Perché relegare i giovani per tanti anni a fare gli assistenti in oratorio (baby sitter?) agli adolescenti parcheggiati dai genitori? Lo farà meglio un anziano "che ha il carisma di oltrepassare le barriere fra le generazioni" (Familiaris Consorzio 27). E’ forse a sognare questo ruolo che il Papa a Loreto ha invitato i giovani? Ho molti dubbi! I Presbiteri ed Episcopi nella Comunità primitiva Fin dall’inizio della Chiesa i poteri di giurisdizione e insegnamento sono dati a Pietro e agli Apostoli come doni e carismi dello Spirito . Nella Chiesa per la sua crescita e il suo bene vi sono diverse funzioni svolte dai membri del corpo mistico di Cristo; il principale quello dell’apostolo a cui seguono: profeti, evangelisti, pastori, dottori e altri (v. Ef. 4 11-12). Nella Chiesa di Gerusalemme troviamo all’inizio solo gli Apostoli affiancati da diaconi ordinati a servizio delle mense con il ministero della predicazione. In seguito negli Atti stessi e nelle lettere di Paolo cominciano ad apparire la figure degli anziani-presbiteri, attorno a quelle degli Apostoli, che hanno funzioni amministrative e spirituali e decidono assieme ad essi. Diversi sono i racconti negli Atti che ci rivelano l’importanza di questo ufficio con funzioni anche liturgiche (Gc 5, 14) già nella Chiesa di Gerusalemme. Sono anche istituiti nelle nuove Chiese da Paolo e Barnaba con evidenza delle loro funzioni di pastori e dottori. Forse per questa duplice funzione Luca li chiama "presbiteri" (Atti 20, 17) mentre Paolo li chiama "episcopi" (Atti 20, 28). Forse uno dava più risalto all’esperienza di guide sagge e l’altro alla loro funzione di "ispettori - episcopi" come persone attente e preparate a discernere la sana dottrina come predicata dagli Apostoli. Il tono e gli argomenti delle sue lettere dimostrano questa intenzione. Nello stesso modo di "presbiteri" li chiama Pietro nella sua lettera (Pt. 5, 1-5) con una esortazione interessante "... o giovani siate soggetti a i presbiteri ..." per assicurarne la formazione, frutto della loro saggezza, come, del resto, troviamo nei libri Sapienziali. Nelle lettere pastorali di Paolo a Timoteo e Tito, egli indica le caratteristiche umane e caratteriali dei presbiteri-episcopi con la raccomandazione che siano, inoltre: buoni amministratori della loro casa, capaci di istruire, sposati una sola volta (segno della loro fedeltà, rispetto e cura) e poi come conclusione "... se uno non sa dirigere bene la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?" (1 Tim. 3, 5). Non è possibile ignorare un avvertimento così chiaro e che riprendo più avanti. Cosa possiamo dedurre da tutto ciò: che da quei tempi la gerarchia ecclesiastica è continuità della successione Apostolica per la preservazione e difesa del sacro deposito e titolo per l’azione liturgica e non una funzione onorifica. I "capi", i "preposti", i "presidenti" nelle lettere di Paolo non sono distinti dai presbiteri come non lo sono gli episcopi. In merito a quest’ultima distinzione nella Chiesa primitiva, vi sono state, da parte di teologi, tesi opposte ma con la propensione a ritenerle figure identiche come anche da autorevoli interpretazioni di tesi patristiche (rif. Storia della Chiesa - Ed. Paoline). Rimane il fatto che quelli che noi chiamiamo oggi Vescovi hanno una funzione ben diversa da quella sopra accennata; questa autorità appartiene al fondatore Paolo e ai suoi giovani e ben preparati delegati (Tito e Timoteo) in quanto sorveglianti di tutte le Chiese. Solo loro hanno il compito di ordinare diaconi e presbiteri. Per questo vi sono tre ordini gerarchici distinti Apostoli, presbiteri o episcopi e diaconi. La successione apostolica, ben sappiamo, attestata dalle lettere di Paolo e testimoniata nel primo secolo da San Clemente e padri della Chiesa . La Comunità cristiana nei primi secoli Questa è la testimonianza di San Clemente alla fine del primo secolo: "Essi (gli Apostoli) istituirono quelli che abbiamo detto ( vescovi - presbiteri e diaconi) e in seguito stabilirono che, quando sarebbero morti, altri uomini provati (Viri Provati) succederebbero nel loro ministero. Quelli che furono in tal modo istituiti dagli apostoli ... noi non crediamo giusto respingerli dal ministero" (XLIV, 3) La gerarchia nella Chiesa, già dalla metà del II secolo circa, costituta come durerà per sempre; si avranno solo variazioni secondarie per quanto non prive di interesse. Vi è una distinzione tra clero e laici nel senso che ai primi è affidato il compito di guidare i fedeli nella fede. I chierici vivono dell’altare come altri del loro lavoro anche se non sempre idoneo al loro ruolo spirituale perché chiamati ad una vita più santa. Il celibato nei primi secoli non fu imposto al clero e agli ammogliati la continenza, ma non si poteva più ammogliarsi dopo l’ordinazione. Solo nel III secolo con il Concilio di Elvira e solo per la Chiesa di Spagna fu obbligatorio il celibato. Perciò si associò ben presto l’idea del celibato all’ordinazione come stato di vita considerato più idoneo e, dato che molti cristiani, in tempi di persecuzioni, facevano scelta di ascesi e verginità era naturale che fra di essi il Vescovo, allora, scegliesse membri del clero per destinarli alle celebrazioni eucaristiche in altri luoghi più lontani. Il Vescovo è, da allora, tutto nella Chiesa: unico dispensatore della vita liturgica. Egli celebra l’Eucaristia assistito dai Diaconi che hanno un ruolo molto importante nella comunità. A queste celebrazioni partecipavano anche i presbiteri ma le loro funzioni in Comunità convertite dal paganesimo, erano, a quel tempo, di carattere catechetico e preparatorio dei sacramenti. In seguito con le persecuzioni e uccisioni dei Vescovi e per il diffondersi delle comunità cristiane in luoghi distanti dalla Chiesa centrale Vescovile, divenne, per i membri del presbiterio, forza maggiore supplire, come preposto, al Vescovo celebrando l’Eucaristia nelle varie località. Nella descrizione dei momenti liturgici troviamo ormai una specifica ritualità e la raccomandazione dell’uso di un canone e preghiere idonee alla celebrazione. Importanza del Diacono nella Comunità Come leggiamo negli Atti la scelta del Diaconi nella Comunità primitiva per un servizio alla Carità e alle soluzioni concrete di aiuto ai bisognosi è ritenuto dagli Apostoli indispensabile per dedicarsi completamente alla preghiera e al ministero della Parola (Atti 6, 5). Questo ministero continua ad essere esercitato nei primi secoli e i Diaconi sono responsabili dei beni sempre più consistenti delle Comunità Cristiane tanto da richiamare l’avidità delle autorità pagane e delle conseguenti persecuzioni. Nei secoli successivi il ministero, anche a causa di alcuni comportamenti gestionali inaccettabili, scompare nella sua visibilità ed è assunto dai medesimi presbiteri e sacerdoti. A mio avviso fu un gran danno e infatti il Concilio vaticano II lo ha ripristinato nelle parrocchie anche se ancora molto incompreso nelle sue funzioni. Dobbiamo sperare che si tolgano ai Parroci e ai sacerdoti compiti di servizio non loro propri perché abbiano veramente tempo per dedicarsi alla Parola e allo studio oltre che alla preghiera. Questa necessità la si avverte anche dal semplice ascolto di certe omelie prive di significative riflessioni e ascolto prolungato della Parola. La chiamata, nella Comunità, a scegliere questo ministero fra i fedeli è nuovamente indispensabile. come il presbiterato dai fedeli anziani. Perché sono scomparsi gli Anziani dalle Comunità Dobbiamo premettere che le prime Comunità primitive erano formate da ebrei convertiti, anche farisei, sacerdoti e leviti e loro discepoli provenienti dal paganesimo. Il popolo di Israele dai tempi di Abramo, poi di Mosè e così nei secoli successivi, fin dalla giovinezza veniva istruito nella conoscenza della Legge (la Torah). Queste informazioni le troviamo in molti passi della Sacra Scrittura; molti erano i maestri in Israele che avevano cura di interpretare, trasmettere e raccogliere in forma canonica la Parola di Dio che veniva poi regolarmente letta e commentata nelle Sinagoghe al popolo. Molti laici pii (come i Farisei) studiavano la Torah e la Tradizione trasmessa dai loro padri. L’ignoranza era limitata, l'analfabetismo molto contenuto e gli apostoli stessi (uomini comuni) dimostrano di non ignorare Scritture e tradizioni nei colloqui con Gesù; fatti reperibili anche negli episodi evangelici: Gesù giovinetto legge le Scritture, poi da adulto le commenta nella Sinagoga, scrive in terra nell’episodio dell’adultera perché altri leggano, spiega le Scritture ai Farisei, agli apostoli e ai discepoli di Emmaus, ecc. un mondo, quindi, non certo di ignoranti come erroneamente si pensa. Nel mondo cristiano invece, per secoli si proibirà al popolo di conoscere la Bibbia non parliamo poi di commentarla; nei seminari stessi, mi raccontavano degli anziani sacerdoti, era un libro piuttosto riservato ai soli studiosi. Nei primi tempi era ovvio che le guide pastorali delle comunità cristiane si cercassero fra giovani e uomini istruiti di classi medio - alte. Il mondo pagano, infatti, non ha cultura religiosa ma tanta superstizione. Non ci sono leggi divine da studiare e conoscere; la sapienza greca è riservata ad una certa élite. A Corinto, nella comunità fatta, per la maggior parte, di pagani popolani convertiti, veniamo informati da Paolo sulle difficoltà che hanno questi cristiani a capire anche semplici regole morali e liturgiche. Era, perciò, normale che le Comunità di composizione a prevalenza ebraica avessero anziani alla loro guida perché ben istruiti e preparati nella vita religiosa e nella comprensione delle scritture. Dove sono, nei secoli successivi e fino a pochi decenni fa, gli anziani "capaci di insegnare ..." come raccomanda Paolo? Come reperire nelle comunità nate nel mondo pagano, persone anziane religiose, preparate e istruite nella nuova Fede? Le scuole pubbliche sono di élite e di istruzione profana, quelle teologiche modeste e riservate alla Chiesa. Le persone convertite ben istruite o di notevole cultura (vedi i Padri della Chiesa) sono poche e in genere vengono scelte per compiti autorevoli come Vescovi. Gli anziani migliori, dicevamo, hanno compiti limitati quasi solo catechetici. Per guidare le numerose comunità cristiane non è facile trovare una preparazione religiosa di livello come nel mondo ebraico. Cade quindi il valore dell’anziano "sapiente e maestro" si pensa ai più giovani da istruire recuperando il loro entusiasmo di Fede: quanti esempi di giovani martiri nei primi secoli! Con Costantino e la legalizzazione del Cristianesimo le cose cambiano con una liturgia più ricca e disposizioni formali per il clero e le sue componenti. Molto culto ma limitata istruzione! Nei secoli successivi e poi all’inizio del Medioevo, la preparazione dei sacerdoti si fa culturalmente approssimativa. Vi sono signorotti del tempo che scelgono o impongono loro le persone da destinare al culto locale fra i quali anche servi della gleba con risultati penosi. Sacerdoti in questo caso giovani mal preparati, irrispettosi dell’astinenza imposta dalle regole gregoriane, hanno figli e concubine; con conoscenze liturgiche approssimate guidano comunità di fedeli molto critici e reattivi. Nascono in quei tempi ordini religiosi per una miglior servizio di fede al popolo (ricordiamo San Francesco e altri). Dopo il Concilio di Trento il celibato dei preti è già norma nella Chiesa cattolica e in seguito la figura del Sacerdote sarà teologicamente più definita: il termine presbitero=prete non si accompagna più all’età sapienziale dell’anziano; l’istruzione, quindi, diventa indispensabile e così nascono i seminari ma con limitati partecipanti. I sacerdoti nel XVII secolo, di cui molti istruiti in loco, godono, però, anche di privilegi che richiamano nelle classi medie e alte giovani molto spesso privi di vocazione ma numerosi al punto da preoccupare gli stessi Vescovi. Il discorso degli anziani istruiti "fin dalla giovinezza" (come il giovane Timoteo ebreo istruito, sin dall’ infanzia, dalla nonna) è ormai una fantasia. Nel secoli successivi, come abbiamo accennato, l’appartenenza al Clero richiamava non pochi privilegi e anche una distinzione culturale di livello. Purtroppo non si può negare come numerosi giovani, diversamente sollecitati dalle situazioni sociali o familiari si indirizzassero verso questa "carriera". Era inutile, quindi, pensare agli anziani visto che le vocazioni giovanili non mancavano. Molte, certamente anche forti e sincere, sono state disponibili in abbondanza fino a qualche decennio fa. Con la nascita delle ideologie, come reazione ad una Fede ignorata o mal esposta in una pastorale moralista, il mondo si secolarizza. La ricerca di benessere coinvolge un pò tutti; le ideologie sono le nuove "religioni" e le nuove "salvezze". La Chiesa reagisce e nell’epoca del Concilio Vaticano II il mondo cristiano si trasforma ed è culturalmente diverso. Oggi molte persone hanno un grado di istruzione di scuola superiore o universitaria, se poi a ciò aggiungiamo la disponibilità e mezzi di istruzione religiosa, possiamo dire che il tempo è favorevole per recuperare la sapienza ed esperienza di tanti uomini anziani, ovviamente non secolarizzati, e affidare loro nella comunità il ministero della guida pastorale e liturgica. L’istruzione complementare ed opportuna per il ministero sarà determinata dall’istruzione di base, dalle necessità concrete e dalla preparazione dottrinale specifica di ognuno oltre alla verifica dell’indispensabile capacità di insegnare e guidare. Gli anziani sono una risorsa non un peso e lo riconosce anche il mondo laico; perché non la Chiesa? Il Presbitero-Sacerdote nella tradizione cattolica Non mi sembra il caso di illustrare a fondo il motivo per cui la Chiesa Cattolica nella sua Tradizione a scelto il celibato per i suoi preti perché sono reperibili nei numerosi documenti che li riguardano e che giustificano questa scelta "vocazionale quasi esclusiva per i giovani". In merito a ciò possiamo anche sperare che lo Spirito faccia "nuove tutte le cose". perché leggiamo nella "Dei Verbum" che "Questa Tradizione di origine Apostolica che progredisce nella Chiesa con l'Assistenza dello Spirito Santo; cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali la meditano in cuor loro". Mi sembra consolante pensare che forse questa mia piccola riflessione e studio possa servire a qualcosa. Nella comprensione attuale la dottrina indica il sacerdote come icona di Cristo celibe e vergine che dà la vita totalmente per la Chiesa; egli è immagine e persona che rappresenta Cristo nella celebrazione dell’ Eucaristia. Riflettendo penso che il celibato di Gesù non è proprio in funzione dell’Eucaristia, ma ad una "perfezione di stato" per l’annuncio itinerante del Regno di Dio; impossibile esercizio per un giovane sposato; infatti sta scritto nel Vangelo, con riferimento proprio ad un giovane "Se vuoi essere perfetto vendi tutto e dallo ai poveri poi vieni e seguimi ...". Questa è la strada dei giovani e in seguito, a mio avviso, mostrerò quale può essere la loro "carriera". Forse l’icona più conforme nell’Eucaristia è quella che troviamo espressa in (Sacramentum Caritatis 28) dove il Papa fa riferimento "... alla relazione intrinseca tra matrimonio, famiglia e Eucaristia ..." e "Il legame fedele, indissolubile ed esclusivo che unisce Cristo e la Chiesa ... trova espressione sacramentale nell’Eucaristia ..." e alla pos 27 "L’Eucaristia sacramento della Carità mostra un particolare rapporto con l’amore tra l’uomo e la donna uniti in matrimonio. Approfondire questo legame è una necessità propria del nostro tempo. L’Eucaristia ha un carattere sponsale . . è il Sacramento dello sposo e della sposa ..." e ricorda la teologia Poalina di un legame irreversibile e indissolubile per un amore lungamente vissuto. Perciò dal Concilio in poi si parla anche di "Chiesa domestica"". richiamo alla Pasqua celebrata nelle case dagli ebrei nostri "fratelli maggiori" Possono, quindi, anche gli anziani essere conformi a Cristo nella fedeltà provata e nell’esperienza maturata in decenni di relazione sponsale? Possono i giovani fare altrettanto? Si! Ma nelle serie prove che affronteranno poi nell’annuncio del Regno! Non possiamo non considerare anche altre situazioni di vita vissute da Gesù. Il fatto che Gesù, prima di intraprendere il suo ministero, stato un lavoratore come lo sono stati anche Paolo e tutti gli apostoli; che abbia maturato una esperienza umana nella famiglia e di lavoro fino ad una età, allora, già avanzata, mi fa credere che non si possono trascurare o considerare questi fatti marginali o casuali nel tratteggiare, oggi, la figura del sacerdote nella sua Comunità Parrocchiale! Il popolo di Dio non cerca tanto figure ieratiche ma, piuttosto, qualcuno che comprenda la loro fatica nel vivere. Gesù avrebbe potuto scegliere un’altro tipo di vita come esperienza umana invece ha scelto quella di tutti gli uomini. Questo non significa che tanti sacerdoti non siano impegnati in un lavoro apostolico faticoso ma sarebbe meglio che esperienza, cultura e fatica fossero un bagaglio da portare in seminario prima che procurarselo poi una volta usciti! Dico ciò per rendere più logico disporre per una scelta di stato per "pastori anziani" liberi da impegni e stabili nelle comunità locali e una diversa per l’itineranza nell’annuncio del vangelo, la sorveglianza delle Chiese e dei loro pastori anziani; aspirazione che Paolo ritiene nobile lavoro la "carriera" di Vescovi e dei loro Ausiliari collaboratori. Per questo specifico stato vocazionale non si possono ignorare espressioni bibliche, ritrovabili nei documenti del Magistero: "... vi sono alcuni che si sono fatti eunuchi per il Regno dei Cieli" Mt 19, 12, quelle dell’Apostolo Paolo "ai non sposati ... dico e bene per loro rimanere come sono io Per indirizzarvi a ciò che e degno e vi tiene uniti al Signore" 1Cor. 7, 1ss e ancora "... chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore" 1Cor 7, 32. La perfezione di stato del celibato per il servizio al Signore è certamente la più qualificante, se fatta con attenzione e discernimento di cui sopra, ma non si può negare, come dimostrato, che vi sia un cammino di santità anche nel matrimonio che può sfociare, alla fine della propria vita, in un servizio pastorale che assicuri almeno l’Eucaristia come diritto di ogni fedele ... Perché non un Presbitero ... anziano? Riguardo il Presbiterato la tradizione della Chiesa cattolica e la dottrina sono chiare ma, dopo quanto detto, essa non contiene, a mio avviso, impedimenti al discorso sul ruolo oggi possibile e necessario dei presbiteri "veri anziani" per un ministero sacerdotale locale che assicuri l’Eucaristia. Nel Canone 1042, 1° si dice che l'uomo sposato è impedito a ricevere l'Ordine, ma va esaminato con interesse il Canone 1047, 2-3° dove sta scritto che "Alla Sede Apostolica è riservata la dispensa". Dai seguenti impedimenti a ricevere gli Ordini: dall'impedimento di cui al Canone 1042, 1° (citato sopra) cioè la possibile ordinazione di uomini sposati. Quindi Il Papa può decidere liberamente di fare, ad esempio, un esperimento in alcune diocesi ordinando anziani-sposati. In caso positivo poi formalizzare la cosa con una modifica al Codice di Diritto Canonico limitando, ad esempio, l' ordinazione presbiterale esclusivamente per la Celebrazione Eucaristica locale. Le condizioni richieste:buona reputazione e cultura come prescritto, con i loro figli ormai sistemati, con un età non inferiore ai 60/65 anni, salvo casi particolari al discernimento del Vescovo, con possibile integrazione economica solo quando non hanno pensione o altra fonte di reddito solitamente richiesta per non pesare sulla Chiesa. I giovani ordinati e consacrati a Cristo, come illustro più avanti, hanno una migliore, più idonea e rispettosa utilizzazione se resa conforme ai primitivi ruoli a seguito degli apostoli e ora dei loro successori. Abbiamo visto sopra chi era un anziano nella Chiesa primitiva e ripetiamo quanto scrive Paolo a Timoteo a proposito di episcopi, allora non distinti dai presbiteri, "... se uno non sa dirigere bene la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?". Ripetiamo: è un avvertimento di una chiarezza così sconcertante che non ne può essere rimosso né si comprende perché non appaia citato nelle discussioni teologiche, nella letteratura giornalistica o specializzata, ne considerato nei documenti della Chiesa e come la Tradizione non abbia ancora visitato questa affermazione categorica. Eppure non è una questione contingente o peggio superata dai tempi; cosa avrebbe, allora, da insegnarci la Chiesa primitiva così paradigmatica. Gli Atti ci informano che "... spezzavano il pane nelle case con gioia e serenità di cuore" (At 2, 46). Per migliaia di convertiti non erano, forse, gli anziani e padri di famiglia che presiedevano nelle loro case al memoriale Eucaristico? Tale quantità di persone, ovviamente, non potevano stare in un unico luogo, chi se non questi guidavano le numerose comunità, pur sotto la tutela degli Apostoli? Nella casa di Aquila e Priscilla a Corinto, dove Paolo fu accolto (At 18, 3) e poi a Efeso, chi se non loro guidava la Chiesa locale? Paolo VI scriveva che per avere una visione pura della fede e una testimonianza edificante dobbiamo andare alla sorgente della nostra Fede dove l’acqua è più pura. La stessa esortazione la troviamo nell’ultimo Sinodo dei Vescovi dove si dice che, per la Chiesa, appunto "... paradigma (modello) l'esperienza della comunità primitiva" (proposizione 30). Nell' udienza di Benedetto XVI del 07 febbraio 2007 troviamo ripetuto il richiamo alla Chiesa primitiva. Egli fa memoria del ruolo dei coniugi Aquila e Priscilla che Paolo saluta con la comunità che si riunisce nella loro casa (Cor 16, 19)e poi, ricorda ancora, delle comunità che si riunivano nella casa di Gaio a Corinto (Re 16, 23), Ninfa a Laodicea (cfr. Col 4, 15), Archippo a Colossi (cfr Fm 2). Mi chiedo: chi in queste case era il presbitero e pastore che celebrava l’Eucaristia se non anziani preposti o gli stessi ospitanti? Ma dobbiamo pur ricordare come Paolo rimprovera la Chiesa di Corinto sul modo indegno di mangiare la Cena del Signore (1Cor 11, 20) non ne fa una questione di stato del celebrante ma di modo e dignità del celebrare; in quel caso gli anziani non avevano le capacità di guida che Paolo chiedeva forse perché provenienti da un mondo pagano senza cultura religiosa. Una ben distinta vocazione di giovani e anziani Nella Chiesa primitiva dei primi secoli il Vescovo inviava i giovani consacrati al Signore a celebrare l’Eucaristia nelle Comunità lontane per la loro scelta di perfezione di vita, rispetto ad altri magari anche degni. Ma questi giovani non avevano fatto una scelta specifica del Ministero ma una scelta di vita verginale conforme al Vangelo, per il grande ideale di servire Gesù e il suo Regno in un mondo pagano. Se i presbiteri locali saranno nel tempo futuro possibilmente anche anziani-viri probati, come si rileva in uno studio del Card. Ratzinger citato più avanti, quale sarebbe o sarà il compito dei giovani nella Chiesa? Tutti sanno come i giovani vengano attratti da grandi ideali e attività gratificanti di cui la sequela di Gesù è la massima espressione, vedi l’entusiasmo del giovane-ricco del Vangelo e l’esortazione del Papa a Loreto a sognare veri ideali; solo allora, ad essi, diventerà accettabile che un’esperienza di Fede passi per la Croce di una vocazione corrispondente al loro ideale nella vita quotidiana e nelle parrocchie. Il discorso sulle vocazioni, che abitualmente ascoltiamo in ambiente ecclesiale, non sempre e ben articolato ed è, comunque, sempre indirizzato alla chiamata dei giovani al Sacerdozio non ad uno spazio di età più vasto. Ma, oggi, la risposta è scarsa per la semplice ragione che il giovane rimane spesso deluso dai compiti, proposte e realtà, non sempre gratificanti e lontane dai suoi ideali, che trova nelle Comunità parrocchiali. Questa sorpresa, che il giovane prete più saggio trasforma in preghiera, non sarebbe così deludente se l’invito fosse fatto ad anziani preparati per essere presbiteri locali. Oggi, un fatto del genere è da articolo sul giornale. I seminari sono strutturati e considerati luoghi di istruzione, ovviamente, per giovani, un anziano sarebbe di imbarazzo, mentre sono convinto che se un fatto del genere fosse ordinario gli stessi giovani ne ricaverebbero solo aiuto e sicurezza per il loro futuro impegno. Considerare, nel popolo di Dio, ordinaria la vocazione presbiterale di un anziano che abbia "guidato bene la propria famiglia" e mostri di avere le caratteristiche umane e spirituali indicate da Paolo, dovrebbe trovare rilevanza ecclesiale. Purtroppo, per ora, il Sinodo dei Vescovi ha valutato la questione "... come una strada da non percorrere" senza alcuna doverosa spiegazione anche se alcuni, a detta del Card. George Pell intervistato, avevano chiesto uno studio sull’argomento (vedi più avanti i riferimenti al Sinodo). Le obbiezioni sembra siano sempre quelle: simboliche e spirituali, che qui commentiamo, e timori di pressioni all'ammissione di altri casi che non credo possano avvenire dove la disciplina imposta è teologicamente chiara. Se parlo di queste cose è anche perché nella nostra casa abbiamo accolto molti sacerdoti in visita e non solo di cortesia, i quali hanno trovato un luogo valido per parlare anche di personali questioni di fede in relazione alla loro specifica vocazione e, a loro dire, ciò ha fatto loro molto bene e, a noi ha dato tanta gioia. Mi permetto di pensare ad una esperienza di chiesa primitiva; forse ciò che Paolo trovò nella casa di Aquila e Priscilla. Mi sembra utile segnalare che trasformando questi incontri domestici in scelte di vocazione familiare migliorerebbe la vita di tanti sacerdoti per un servizio utile alla Chiesa; ma questo è un’altro discorso. Giovani per essere Vescovi-Ispettori Il Ministero del Vescovo come successione apostolica, fondamento della Chiesa. Questa primitiva funzione è visibile in Paolo e nei suoi giovani sostituti Tito e Timoteo. Quest'ultimi nella loro qualità di Episcopi, parola che significa Ispettori, ha caratteristiche diverse da quelle dei presbiteri-episcopi locali. Essi sono ITINERANTI (quindi non stabili) e ciò a favore delle Chiese loro affidate per confermarle e sostenerle nella Fede e dove si fermano per un certo tempo. Oggi questo ministero è veramente itinerante? Quanto tempo passa prima di incontrare il proprio Vescovo e vederlo rimanere qualche tempo presso le Comunità? Come successori degli Apostoli perché non possiamo aspettarci, con i loro collaboratori una maggior presenza e relativa itineranza per annunciare il Vangelo e curare le Chiese con maggior permanenza in loco? E per le pecore smarrite quale cura? Il buon pastore conosce le sue pecore ed esse conoscono lui!Quanto ci conoscono i nostri Vescovi? Non possono fare tutto i Parroci da soli. Esempi come il viaggiare continuo di San Carlo, di Papa Giovanni Paolo II e altri dovrebbero far riflettere! Per operare ciò, normalmente, ci vuole, oltre alle buone caratteristiche umane citate da Paolo, una Fede entusiasta, energia e tempo pieno che è più probabile trovare nei giovani (vedi Tito e Timoteo). Perciò qualificati bene nello studio e nella dottrina; forti e generosi nella loro giovinezza saranno più idonei a prepararsi al ministero Episcopale, all’evangelizzazione e a sostenere le Chiese-Parrocchie con l’energia della loro Fede e la grazia dei segni promessi da Cristo. La conseguente necessità del celibato trova forza nella preghiera e nell’amore delle grandi scelte e ideali di vita. Ridurre queste prospettive si rischia di assistere alla deriva verso interessi scadenti e purtroppo alle volte anche sporchi; situazione nella Chiesa denunciata dal Card. Ratzinger nella celebre omelia della Quaresima 2005 e ormai pubblica. La risposta alla mancanza di vocazioni, a mio avviso, proprio in queste considerazioni! Conseguente e necessario diventa, quindi, distinguere uno stato di celibato per chi destinato ad impegni di itineranza e ispezione e uno ordinario e stabile per presbiteri-anziani nella Chiesa locale. Non è ovviamente escluso che un giovane ordinato passi del tempo a fare esperienza pastorale in Parrocchia, ma evitiamogli una supplenza con la scusa che deve occuparsi dei giovani. Se troviamo una vocazione come Don Bosco non c’è da discutere ma ci sono tanti laici e anziani forse più adatti e altrettanto bravi! Ma chi si occupa di loro e li responsabilizza? Sono convinto che questa visione di Chiesa sarebbe gradita ed accolta con entusiasmo dai giovani e dai preti di oggi ... Garantire l’Eucaristia "Sino dominico non possumus" "Senza la Domenica (l'Eucarestia) non possiamo vivere (non esistiamo)" rispondevano i 49 martiri di Abitene a chi li accusava di non rispettare le disposizioni dell'imperatore Diocleziano. L'Eucarestia quindi fa parte della natura intima del cristiano e va oltre l'identità esistenziale o spirituale. |